La mia attenzione è stata catturata da una delle più alte figure della poesia mondiale del Secondo Novecento, Yves Bonnefoy (Tours, 24 giugno 1923) poeta, traduttore e critico d'arte francese.
Ha scritto tra il 2003 ed il 2004 in Svizzera un testo che presenta una definizione senza dubbio testamentaria della poesia, si tratta del dialogo con Jean Starobinsky, presente nell’opera Goya, Baudelaire et la poésie.
Leggendo il titolo di questo saggio di Bonnefoy, mi sono chiesta per quale motivo avesse accostato Goya e Baudelaire. Questi due artisti, per una questione temporale non si erano potuti conoscere, erano di nazionalità diverse, che cosa li accomunava, dunque? Le risposte non sono tardate ad arrivare!
In questo libro, Bonnefoy e Starobinsky, guardando le opere di Goya e leggendo le poesie di Baudelaire, valutano le nozioni di compassione e di caricatura presenti in entrambi gli artisti e s’interrogano sulla finalità ultima dell’atto creatore. Esiste una forte analogia tra i due, Bonnefoy mostra come sia grande in loro la compassione, e il riscatto che si adempie grazie ad essa. Entrambi muovono una feroce critica contro la società aristocratica, esaltano l’immaginazione, sono dei visionari, fanno uso di caricature e sono accomunati da sentimenti di sconfitta, di fine, di pesantezza. Sembra che le opere di Baudelaire siano gli equivalenti letterari della pittura di Goya.
Le opere dell’artista madrileno sono apparse all’inizio del XIX secolo, periodo al quale appartiene anche l’opera Les fleurs du mal di Baudelaire.
Francisco Goya è riuscito a rappresentare la ferocia e la paura della guerra civile spagnola (1936-1939) con cruda intensità ne I disastri della guerra, che rappresentano un vero e proprio documento di disperazione, una presa d’atto delle sanguinose conseguenze degli eventi storici e la consapevolezza che l’arte può e deve esserne testimone. E quando fu ristabilito il potere assoluto inseguito al naufragio della Costituzione, Goya provando una forte disperazione pubblica una tavola assolutamente straordinaria: Goya curato dal Dottor Arrieta, il suo autoritratto di ammalato che guarisce grazie al suo amico, al suo medico.
E’ proprio su questo dipinto che Bonnefoy focalizza la sua attenzione. Vediamo il vecchio Goya nella prostrazione dell’agonia, seduto su un modesto lettino, riversarsi indietro aggrappandosi con le mani senza forza ai drappi che però non riesce ad afferrare.
Alle sue spalle c’è il giovane medico che lo sostiene, mentre con una mano gli porge la medicina.
E’ dal gesto di compassione del Dottor Arrieta, che pone la mano dietro la nuca di Goya per sollevarlo e sostenerlo mentre con l’altra gli fa bere la pozione che lo salverà dalla morte.
In questo gesto Bonnefoy sostiene che Goya veda la compassione senza giustificazione o ricompensa, l’amicizia che fa sparire i demoni e la malattia.
Questa tavola fa parte delle Pitture Nere di Goya, che sono il cuore delle opere dell’artista. Oggi sono esposte presso il Museo Prado ma sono state dipinte presso casa sua, nella Quinta del Sordo. Si tratta di rappresentazioni al limite del visibile e sostenibile, non c’è niente di reale, tutto è visionario, fatta eccezione per il gesto di compassione del suo medico.
I programmi didattici, per motivi puramente pratici, tendono a dividere le varie correnti culturali che si sono susseguite negli anni per periodi storici, ai quali corrispondono i relativi artisti di una data regione o nazione. Ma saggi come quello di Bonnefoy, tendono ad allargare gli orizzonti, a suscitare la curiosità di sapere come i vari artisti abbiano interagito tra loro.
Esiste tutto un mondo di relazioni, richiami, collegamenti che resta taciuto se non ci mettiamo nella condizione di esplorarlo.
Secondo Bonnefoy, nel dipinto Goya curato dal dottore Arietta, lo stesso Goya, vent’anni dopo le gravi malattie subite, è riuscito a imprimere sulla tela non la sordità e le gravi febbri che lo avevano colpito, ma bensì un messaggio di speranza mediante il gesto di compassione del suo dottore.
Ed è questo che io voglio ricordare dell’artista madrileno, è questo che mi ha colpita. Non voglio soffermarmi sulla sua pittura cupa, sugli incubi, sulle scene di stregoneria, né sulle scena di denuncia della società.
Abbiamo un disperato bisogno di sentimenti positivi, e se una persona come Goya, nelle sue condizioni, riesce a intravedere un barlume di speranza, beh allora ognuno di noi ha il diritto, almeno di provare, a riempire la tavolozza della sua vita con colori brillanti.